#Venezia1600. La storia, le origini e il progressivo sviluppo di Venezia

#Venezia1600. La storia, le origini e il progressivo sviluppo di Venezia

La nascita
Da chi venne fondata Venezia? E quando? Non si sa, la data del 25 marzo 421, che di recente ha offerto lo spunto per le celebrazioni dei 1600 anni della sua nascita, è convenzionale, frutto di una leggenda; quanto al suo pedigree fondativo, manca un eroe eponimo: Roma ha Romolo, Padova Antenore, Alessandria Alessandro Magno, e, con estensione più ampia, America prese il nome da Amerigo Vespucci, che gli attribuì la dimensione di quarto continente.

Torniamo a Venezia.
Dunque non si sa chi l’abbia fondata, e quando; la spiegazione sta nel suo nome latino: che è al plurale: Venetiae, a significare che alle sue origini troviamo più comunità che, a ondate, si rifugiarono nelle lagune. Fuggivano dai barbari, Visigoti, Vandali, Alani, Goti; cercavano riparo nelle isole per poi tornare nella terraferma, una volta rifluita l’irruzione degli invasori. Ma non tutti lasciavano la difesa naturale delle lagune, dove già era attivo il commercio del sale, come sappiamo dalla descrizione dell’itinerario da Ravenna ad Altino, compiuto nel 537 d.C. da Flavio Aurelio Cassiodoro.

Lo spartiacque, nella storia, avvenne trent’anni dopo, quando nel 568 dalla soglia di Cividale irrompono i Longobardi: non sono molti, si calcola circa 60.000 persone, comprese donne e bambini, e tuttavia riescono a conquistare gran parte dell’Italia (che peraltro non superava i quattro milioni di abitanti). La conquistarono e vi ci insediarono, tranne alcune aree (Lazio, Romagna) e le zone costiere, fra cui il litorale veneto, che rimasero sotto il dominio bizantino.

Allora, nel VI secolo Venezia era un villaggio di pescatori e salinieri; la sua popolazione, quindi, viveva quasi letteralmente nel mare. Le lagune la proteggevano dalla terraferma e dalle minacce che potevano provenire dal mare, ma, al tempo stesso, la isolavano nel mare; pertanto le era preclusa ogni attività che non traesse origine da esso.

Il che non spiega affatto perché Venezia sia divenuta una grande potenza navale.  L’acqua rappresentava una sfida: essa poteva essere raccolta, come accadde per una infinità di agglomerati – quali potevano essere Chioggia, Caorle, Grado – sul basso livello della pesca e del piccolo cabotaggio. Oppure poteva essere assunta al livello più alto, quello della intermediazione negli scambi marittimi fra produttori di merci diverse.  Una serie di opportunità geografiche e di spinte psicologiche consentirono agli abitanti delle lagune di giocare l’opzione più impegnativa, e fu scelta vincente.

Il decollo
Quali furono le cause del successo? Principalmente tre: 1. l’essere rimasta sotto il controllo dell’Impero romano d’Oriente, cioè Bisanzio; 2. l’avere alle spalle fiumi navigabili tutto l’anno (Po, Adige, Brenta); 3. essere il punto dove il mare penetra più in profondità nel continente europeo: e il mare, si sa, era la principale, veloce ed economica via di comunicazione.

Vediamoli un po’ più da vicino, questi tre punti.

  • Venezia rimase bizantina, cioè non fece mai parte del regno longobardo, né, più tardi, dell’impero carolingio. Oddio, non è che Carlo Magno non abbia tentato di conquistarla: nell’810 invia un esercito in laguna al comando di suo figlio Pipino, sperando che muoia – come in effetti avvenne – perché non lo sopportava. Sennonché, prima di schiattare, costui era riuscito a farsi battere da una flotta bizantina giunta dall’Istria; dopo di che, la pace di Niceforo tra franchi e bizantini sancisce il dominio di questi ultimi su Venezia. Questo consentì agli abitanti delle lagune di non conoscere le guerre fratricide dei carolingi e, più avanti, dei guelfi e ghibellini, dei Bianchi e Neri, delle faide insomma che insanguinarono l’Italia nell’alto Medioevo; Venezia infatti non seguì le sorti degli altri Stati, ma dipese da un’autorità lontana e sempre più debole, il che le consentì di sostituirsi progressivamente ad essa, sino a fagocitarla senza mai sconfessarne l’autorità; i simboli del doge (l’ombrella, lo spadone, la sedia, il corno, le otto trombe, il mantello) sono tutti mutuati da quelli dell’imperatore di Costantinopoli, come pure i colori rosso e oro del gonfalone marciano.
  • I fiumi.  Erano in realtà strade veloci ed economiche, che consentivano agli abitanti delle lagune di rifornire le città dell’entroterra padano con il sale e altre merci.  A titolo di confronto, pensate alla rivale Genova: quando una galera raggiungeva il suo porto, doveva scaricare le merci, caricarle sui muli, valicare l’Appennino e portarle nella Val Padana con una scorta armata, onde dissuadere banditi, predoni e feudatari inclini alla rapina. Ne risultavano costi ben superiori a quelli che affrontavano i veneziani.
  • Per spiegare questo punto, ossia che l’estremità dell’Adriatico penetrava più di ogni altro mare nel cuore dell’Europa, credo possa bastare il colpo d’occhio che offre questa cartina, che ho fatto ruotare di 180°.
Venezia e il mar Adriatico

Sin qui i vantaggi; il rovescio della medaglia era costituito dalla mancanza di risorse alimentari e di acqua: le isole che formavano la comunità realtina, immerse nella laguna, non avevano estensione sufficiente per offrire una produzione agricola di qualche interesse; ma c’era anche un altro problema, apparentemente banale ma importante eccome: in laguna non c’erano fiumi, e senza il fiume, in un’età ove la forza idrica è l’unica motrice, le pale dei mulini non girano mica. Quindi non si poteva macinare il grano e fare il pane; ai veneziani serviva un corso d’acqua e questo fu il Sile, il fiume dolce e sinuoso, dalle acque tiepide, il più bello del Veneto. Perciò nel 1339 Venezia ottenne anzitutto Treviso e Conegliano, con un patto federalista sulla base di uno Statuto riconosciuto da entrambe le parti, come sarà peraltro per tutti i territori della Serenissima.

A sigillare il decollo: San Marco
Per affermarsi, però, Venezia doveva essere libera, non solo dall’autorità bizantina e carolingia, ma anche da quella pontificia, da Roma che nominava i vescovi, che a loro volta controllavano i parroci a diretto contatto con le anime dei fedeli. La stretta connessione allora vigente fra la sfera ecclesiastica e il potere politico veniva così a minare alla base l’autonomia di Venezia, il cui vescovo era tenuto a giurare obbedienza al metropolita aquileiese, in territorio imperiale. Ora, la tradizione sosteneva che l’evangelista Marco era stato mandato da san Pietro a predicare il Vangelo proprio ad Aquileia; dopo di che, nel viaggio di ritorno, aveva fatto naufragio a Rivoalto, dove un angelo in forma di leone alato gli avrebbe rivolto le parole famose: “Pax tibi Marce evangelista meus. Hic requiescet corpus tuum”, la pace sia con te, Marco; in questo luogo riposerà il tuo corpo. Che però allora stava non in laguna, ma ad Alessandria d’Egitto.

Situazione complessa. Per uscirne i veneziani escogitano un colpo magistrale: nell’anno 828 due mercanti-marinai, Rustico da Torcello e Buono da Malamocco, riescono a trafugare il corpo di san Marco e lo portano a Venezia; la quale ne fa il suo patrono in luogo del precedente bizantino san Teodoro (Tòdaro) e, per ospitarlo come merita, costruisce una basilica.  Quella appunto di San Marco, attigua al Palazzo Ducale, cioè al potere politico, quasi a sottolineare un legame destinato ad accompagnare la storia della futura Serenissima. Donde il culto (e la popolarità) di questo santo, perché:

  • A Roma rimase poco, ci fu solo di passaggio, mentre – per dire – Pietro e Paolo vi morirono.
  • Non fu un apostolo, ma un evangelista, ossia un interprete diretto della parola di Gesù.  In tal modo Venezia sanciva la sua indipendenza spirituale da Roma, concetto dirompente in epoca medioevale, e questo spiega perché la Repubblica riempì di leoni marciani tutti i suoi dominii: Alberto Rizzi ne ha catalogati più di settemila, nonostante le distruzioni effettuate dopo la caduta della Serenissima.

L’affermazione come potenza marinara 
Fino agli inizi del XIV secolo, come si è accennato, la comunità realtina non si estendeva oltre il recinto lagunare, controllava solo il litorale da Cavarzere a Grado: Mestre, per dire, apparteneva – e sempre appartenne fino al 1797- a Treviso.

Altra cosa era lo stato da mar, ossia i dominii marittimi, ottenuti  dal doge Pietro Orseolo II con una fortunata campagna militare condotta nell’anno Mille, che diede a Venezia – la quale già possedeva l’Istria – il dominio della costa dalmata.

Due secoli dopo l’operazione viene completata con la cosiddetta IV crociata, che segna l’apogeo della storia di Venezia. E’ la conquista di Costantinopoli, dell’impero bizantino. Siamo nel 1204: in un tratto Venezia si impadronisce quartae et dimidiae partis totius imperii Romaniae, la quarta parte e mezzo dell’Impero Romano d’Oriente, o meglio, di quel che ne restava, assicurando in tal modo ai suoi mercanti una linea ininterrotta di porti, scali, isole e penisole che li conducono per mano sino al Levante: l’Istria, la Dalmazia e poi Corfù e le isole ionie, e giù giù fino a Creta , cui più tardi si aggiungerà Cipro (e con Cipro siamo geograficamente in Asia). Ecco allora realizzata una sorta di filo rosso che scorta i mercanti dall’alto Adriatico fino ai terminal delle spezie, di fronte agli scali siriaci. Le navi dei veneziani, insomma, troveranno sempre, lungo la loro rotta, un porto, un fondaco, una fortezza col gonfalone della Serenissima.

E’ nato l’“impero” marittimo lungo la millenaria linea di separazione fra due civiltà, dove vengono a contatto due circuiti economici: da un lato l’Europa, dall’altro il Levante; un confine nel cui ambito storicamente si verificarono scontri decisivi, da Azio a Lepanto.

L’età d’oro, l’età di Marco Polo, si conclude però nel XIV secolo a causa della progressiva espansione di un potente nemico, i turchi, e della concomitante tendenza dei Comuni dell’entroterra veneto ad ampliarsi, ad assumere le dimensioni di una provincia: i Carraresi a Padova, gli Scaligeri a Verona.

Di fronte alla nuova realtà Venezia deve intervenire; il detto del cancelliere Raffaino Caresini: († 1390) esser cosa propria de Venezia coltivar el mar e lassar star la terra, non era più in sintonia con i nuovi tempi.

Di Giuseppe Gullino.
Già Ordinario di Storia moderna presso l’Università di Padova – Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arte.
Tra le sue opere La saga dei Foscari. Storia di un enigma (2005), l’Atlante della Repubblica Veneta 1790 (2009), Storia della Repubblica Veneta (2010).

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