Natura, storia e silenzi lungo il Sile a Treviso

Alzaia o Restera, due nomi dal latino per un’unica riva
dove il risveglio della primavera invita a nuove scoperte.

L’alzaia del Sile a Treviso è un’oasi di pace
amata dagli appassionati di passeggiate
a piedi e in bicicletta.

Potete seguire i cartelli indicatori della Greenway, quelli del GiraSile o anche quelli della Venezia-Monaco. Perché, nonostante il proliferare di percorsi (o di loro denominazioni), l’unica vera direzione la indica lui, il Sile. Il fiume che abbraccia e attraversa Treviso per poi continuare in  direzione sud-est verso il mare. Che arriva in città dopo aver tramutato lo scorrere incerto delle sue risorgive in un ampio alveo e, dopo aver accolto altri affluenti – come anche Dante ben sapeva (“Dove Sile e Cagnan s’accompagna”) – esce dalla città con un andamento  sinuoso,  affiancato  da alte  sponde.  Da lì, dal Ponte della Gobba (che prende il nome da un’antica osteria) inizia la “parte bassa” del fiume, e inizia   anche un’affascinante passeggiata nella natura e nella storia. In questo inizio di primavera, tra cigni, anatre e folaghe, tra i colori sgargianti degli alberi da frutto in fiore e tutte le gamme del verde che la natura offre al suo risveglio, l’itinerario si snoda in tante diverse cornici di grande suggestione naturalistica e non solo.

L’antica alzaia dei cavallanti.
Questa è l’ Alzaia del Sile, ossia la riva da dove i buoi o i cavalli tiravano le imbarcazioni  controcorrente, legati con una fune chiamata alzaia – dal latino helciaria (tirare) – che dava il nome al sentiero. Per i trevigiani, invece, questa strada è la Restera, che con lo stesso procedimento di “alzaia” deriva dal latino restis (corda). E non si tratta di un periglioso sfoggio di etimologia, ma di un modo per sottolineare quanto antica fosse, qui, questa prassi. Perché qui il transito di merci a bordo di grandi barche è iniziato almeno nel medioevo ed è proseguito fino agli anni Sessanta,  connotando  queste rive come un’autentica strada del lavoro e del commercio di cui restano alcuni chiari segni: ganci per bloccare i cavalli, pietre segnate dalle corde, antichi opifici sugli argini e soprattutto mulini i cui nomi sono stati anche celebri in tutta Europa. E poi ponti, scalette di accesso all’alveo, piccoli porti, frasche per ristorare i cavallanti che custodivano gli animali da tiro: infrastrutture che testimoniano l’esistenza di una storica connessione fra abitanti, “barcari” vie d’acqua.

Il cimitero dei burci.
E poi ci sono le grandi barche da trasporto dal fondo piatto, i burci. Con il declino del commercio fluviale, molti di questi giganti del fiume, costosi da demolire, furono abbandonati in un’ansa dove le acque li hanno quasi totalmente sommersi, creando un’insolita scena di legni curvi e vegetazione e dove pesci e uccelli hanno trovato un habitat molto favorevole. Una ventina di relitti – lasciati lì in gran parte nel 1974 (a seguito della disfatta commerciale dei proprietari, travolti dallo scandalo dell’olio di colza che fece vacillare la Chiari e Forti per la quale trasportavano i semi) – sono andati ad alimentare un precedente cimitero di imbarcazioni, poiché la tranquillità del luogo ha sempre favorito l’abbandono delle imbarcazioni dismesse. Tanto che – avverte l’archeologa Marta Laureanti che da due anni conduce studi sul  sito – potrebbe anche custodire relitti ben più antichi. La zona è al momento ammirabile solo dalla riva: le passerelle che sovrastano le imbarcazioni sono in manutenzione e riapriranno, rinnovate, alla fine di maggio.

Un parco per la salvaguardia.
Al declino del trasporto fluviale, e delle attività economiche e ricreative che prima si svolgevano lungo il Sile, venne ad allentarsi, negli anni Settanta, quella sorta di legame affettivo  tra il fiume e gli abitanti delle sue riviere. Un distacco che si legge nei pesanti interventi sul territorio: qualche bruttura architettonica e  un po’  di  trascuratezza  si  fecero largo sulle rive del Sile, fortunatamente fermate dall’istituzione dell’Ente Parco Regionale del Fiume, nel 1991.

Le   ville   sul   fiume.
Certo non celebri come quelle della Riviera del Brenta, le numerose ville monumentali che sorgono sulle rive del Sile, grazie anche alla ricchezza di flora e fauna che le circonda, regalano scorci di singolare bellezza. Anche qui, infatti, i nobili veneziani  scelsero  di  realizzare le loro dimore di campagna, sempre tenendo ben presente sia la lezione palladiana, sia le funzioni sociali e agricole. Tra  le  ville veneziane che s’incontrano lungo il corso d’acqua, a volte nascoste tra il verde,  altre volte più appariscenti, si notano facilmente la cinquecentesca Villa Barbaro Valier (ora Battaggia) con la sua elegante scalinata che scende verso il fiume; la settecentesca Villa Fanio Cervellini a Cendon; Villa Barbaro Gabbianelli a Lughignano, che Caterina Cornaro donò alla sua damigella Fiammetta per le nozze, affacciata sul fiume all’interno di un parco di pioppi maestosi; l’imponente Villa Mantovani Orsetti a Casale e la sua barchessa.

La piarda di Casier.
Una piazza che è un porto, una piarda. E se proprio lì sorgono l’antico municipio e la chiesa principale, tanto basta a stabilire la centralità della navigazione nella vita del paese che ancora oggi ospita il porto più importante sul Sile. Fino al secondo dopoguerra, la vita della piarda di Casier era scandita dal vivavai delle imbarcazioni e i cantieri navali sulla strada per Casale sul Sile ricordano che la navigazione, qui, è ancora viva. Che l’acqua faccia parte della cultura locale, lo testimonia il curioso idrocronometro di fronte alla chiesa: un orologio con funzionamento ad acqua realizzato nel 2003 da Alberto Gorla, uno dei più apprezzati maestri orologiai italiani.

COME ARRIVARE
Il Ponte della Gobba poi a piedi o in bici
Arrivare a Treviso è semplice, con l’A27 (uscita Treviso Sud) o con la SS13 Pontebbana. Il Sile e i suoi affluenti la attraversano in vari punti e la passeggiata proposta inizia appena fuori dal perimetro delle mura (Porta Carlo Alberto). Nei pressi c’è il Park Dal Negro. Per chi arriva in treno, dalla stazione al Ponte della Gobba sono circa 10 minuti a piedi per arrivare direttamente, una ventina se si attraversa un po’ di centro storico.

Centro cicogne L’eleganza spicca il volo

Eleganti e singolari. Ma anche così suscettibili da sparire quasi del tutto quando, già nell’Ottocento, l’agricoltura diventò più intensiva, sulle rive del Sile. Ci sono volute l’esperienza della Lipu e la dedizione di un appassionato che ha messo a disposizione il suo terreno nel Parco del Sile, per farle tornare. Oggi nel Centro Cicogne tra Silea e Casale sul Sile (via Sant’Elena 106) si possono ammirare gli eleganti uccelli – nelle voliere di acclimatazione o in libertà – e numerosi altri animali selvatici, tra essenze arboree locali e un giardino fiorito che accoglie variopinte farfalle. Una piccola oasi silenziosa e sorprendente.

Il “piccolo Stucky”

Era, ed è, uno dei simboli del Sile. L’incendio, dai contorni ancora oscuri, che lo ha semidistrutto un anno fa, lo ha comunque lasciato, imponente e silenzioso, lungo la Restera, alla foce dell’affluente Melma che alimentava la sua attività. Il Molino Toso (detto anche “piccolo Stucky” per un’errata attribuzione allo studio tecnico del mulino della Giudecca) è un esempio di architettura industriale ottocentesca che ben si armonizza con il paesaggio del fiume. Al contrario dell’adiacente stabilimento, oggi dismesso, dell’ex Chiari & Forti, sorto molti anni più tardi evidenziando un rispetto per l’ambiente piuttosto carente. Un contrasto evidente che racconta, anche lui, la storia del Sile.

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