Mercoledì delle ceneri,
primo giorno di Quaresima,
riscopriamo la tradizione della “renga”.
Con la “ricca” cena della rénga, la comune aringa dei mari del Nord, un tempo si salutava il carnevale e si entrava nella Quaresima, in penitente attesa della Pasqua.
Per molti, nel trevigiano, quella della rénga era una delle poche occasioni in cui si poteva mangiare a sazietà, ma la regola non valeva per tutti. C’erano infatti famiglie che l’aringa la dovevano appendere con uno spago, alla trave della cucina, e accontentarsi di insaporirvi, a turno, una fetta di polenta lisciandola ripetutamente sul gustoso pesce.
L’aringa, proveniente dai mari del Nord, passando da Venezia, è arrivata nell’entroterra e, trasformandosi nel dialetto “renga”, si è subito rivelata adatta alle esigenze delle tavole contadine, soprattutto in tempo di Quaresima: era un cibo povero ma nutriente e facile da conservare anche senza gli odierni mezzi di refrigerazione.
Nel Medioevo e fino a tutto il ‘500, questo pesce ha avuto un’enorme importanza economica nelle aree dell’Europa settentrionale, perché la sua cattura rappresentava una fonte di cibo quando allevamento, agricoltura e commercio erano insufficienti a nutrire le popolazioni. La conservazione piu’ semplice era sotto sale o essiccata. Poiche’ la sua sistemazione in sale doveva avvenire entro poche ore dalla cattura, e quindi praticamente sul mare, si creo’ tra le citta’ della Nord Europa e quelle centromeridionali un notevole commercio con il sale che saliva verso nord e della “renga” in barili che scendeva verso sud. Questo mercato trovava in Venezia il principale sbocco del mediterraneo.
A Parona, in provincia di Verona, raccontano che questa consuetudine risale ad alcuni secoli fa, a quando cioè i burchieri (conduttori di speciali imbarcazioni dette burchi) che scendevano lungo l’Adige, erano costretti a fermarsi per lo sbarramento doganale. Durante la sosta si rifocillavano nelle osterie del luogo e, quale compenso, a volte lasciavano il controvalore in merce trasportata, tra cui qualche cassettina di aringhe. Ed ecco che nelle varie osterie impararono a cucinare e a servire questo gustoso pesce.
Storia o leggenda? Fatto sta che l’occasione era data soprattutto dal fatto che durante la quaresima bisognava cibarsi “di magro” e così, dopo le scorpacciate del carnevale, tutti, il mercoledì delle Ceneri, si ritrovavano per mangiare polenta e renga preparata e servita nelle locali osterie per i forestieri e nelle famiglie per amici e parenti.
A Motta di Livenza, invece, la tradizione e’ legata ad un importante momento storico, ricordato con il nome il ‘mercore grot’ (mercoledì triste) di Motta.
Si narra che, ultimo giorno di carnevale dell’anno del Signore 1499, le truppe musulmane cercarono di espugnare Motta di Livenza – borgo in provincia di Treviso non lontano da Venezia. Le truppe turco-bosniache cercarono di conquistare la citta’ per proseguire poi alla volta di Venezia. L’incursione avvenne tra l’ultimo giorno di carnevale (martedì) e il primo giorno di Quaresima. L’esercito turco scelse di attaccare proprio quella notte consapevole che la popolazione sarebbe stata distratta dai bagordi e festeggiamenti di carnevale. La strategia era studiata nei minimi dettagli, e prevedeva la conquista anche di altri borghi del Veneto Orientale. Tuttavia, gli abitanti di Motta si accorsero della presenza nemica e diedero prontamente l’allarme. L’attacco fu impedito e il paese evitò d’esser depredato.
Il giorno dopo si festeggiò lo scampato pericolo pasteggiando con aringhe prima di dar inizio alla Quaresima – quindi al digiuno che sarebbe durato fino a Pasqua. Da quel momento in poi, ogni anno, si celebra la “sagra dea renga” (festa dell’aringa), un evento alquanto sentito dai mottensi in virtù di quella tragica notte. I festeggiamenti coinvolgono un po’ tutte le famiglie del luogo e in casa si mangia l’aringa con la polenta. Anche nella trattorie, ancora oggi, i menu propongono questa ricetta frugale (ma ghiotta) che appare di frequente nelle diete morigerate.