L’Eremo Camaldolese di Rua di Feletto

La Pro Loco di San Pietro di Feletto da anni organizza un percorso storico fra i vari resti dell’ Eremo Camaldolese, valorizzandone sia l’origine architettonica che quella paesaggistica: in particolare, in relazione a quest’ultima, ci si è voluti soffermare non solo sugli ambienti interni all’ eremo, ma anche sulla cultura del paesaggio fra il ‘600 e l’800.

Ripercorriamo brevemente la storia dell’Eremo e degli elementi che lo compongono: in primis, Rua di Feletto ha beneficiato per 150 anni dell’attività operosa dei monaci di San Romualdo. In tutto questo arco di tempo si può dire che Rua fu benedetta a motivo delle preghiere di uomini così venerandi, sereni ed austeri. Qualcuno di questi eremiti visse e morì in concetto di santità. Ma i frati vestiti di bianco non ebbero ad occuparsi soltanto della loro ed altrui anima, bensì faticarono per bonificare i terreni avuti in donazione e a “procedere a nuove piantagioni di viti ed alberi da frutto nel terreno dissodato all’interno delle mura claustrali…” , mentre i restanti terreni attigui al Colle Capriolo erano ricoperti di boschi e da una vasta area riservata al pascolo degli animali (il toponimo “Via dei Pascoli” verso Conegliano trae la sua origine proprio dall’uso terreni adibiti a pascoli).

L’Eremo

Home

Correva l’anno 1665 ed il patrizio veneto Alvise Canal, figlio del procuratore di San Marco, a mezzo del signor Aurelio Rezzonico – signore di Venezia – faceva dono alla Compagnia degli Eremiti di S.Romualdo, camaldolesi di Monte Corona, della più amena altura che si trovasse entro i confini dell’Antichissima Pieve di S.Pietro di Feletto, denominata “Colle Capriolo” (così recita Mons.Nilo Faldon nel suo “La Pieve Rurale di S.Pietro di Feletto” – 2005).
Il sito era composto da un palazzo, circondato da 50 campi (trevigiani) di terreno e da una piccola chiesa. Il complesso architettonico dell’Eremo venne realizzato sobrio a armonioso e prevedeva al suo interno ben 14 celle, ma anche varie dipendenze, officine, servizi, oratori e le mura claustrali, perché dentro questo perimetro i monaci conducevano la loro vita. Qui tutto esprime la regola di San Benedetto, preghiera e lavoro, in particolare nelle povere e spoglie celle.
Nel 1876 parte dell’Eremo venne acquistato dall’amministrazione comunale, che trasforma lo storico palazzo in Sede Municipale, e, “ la costruzione che continua il palazzo” l’’ex canonica negli anni ’70 servì come sede della scuola media.

Le celle

La cinta muraria di clausura chiude tra le sue robuste mura quattordici celle simili a piccole casette composte da una camera per il riposo e lo studio, una cappella con altare e una legnaia; all’esterno ogni cella ha un piccolo orto recintato da un muro. Alla costruzione delle celle di Rua hanno contribuito anche personaggi illustri, nobili, cardinali, conti, probabilmente pensando di lucrare qualche indulgenza: si narra che le prime 4 sono state costruite per merito di Alvise Canal, per le altre ricordiamo Giacomo Monari da Ceneda, il Cardinale di Padova, il Vescovo di Ceneda, i nobili di Conegliano Sarcinelli e Montalban. Solo 4 delle 14 celle si sono salvate dall’usura del tempo. L’amministrazione comunale prese un’importante decisione ed adibì le quattro celle ad aule scolastiche. La cella vicina al campanile venne anche utilizzata anche come ufficio postale (1932).

I giardini

Ogni cella aveva il suo orto che serviva al monaco che l’abitava per lavorare e produrre il cibo per la propria sopravvivenza. La storia “verde” dei piccoli spazi riservati agli Eremi Camaldolesi, non ha una precisa data d’inizio. Il primo giardino è comunque alimentare. L’orto è il primo giardino, o meglio l’Hortus conclusus (dal latino orto recintato, di origine antica), il quale rappresentava una zona verde, generalmente di piccole dimensioni e circondata da alte mura, dove gli eremiti coltivavano piante e alberi per scopi alimentari.

Le cantine

Nella parte sottostante delle 4 celle rimaste, sono conservati anche dei laboratori adibiti dai monaci probabilmente a magazzini per il deposito dei raccolti, ad officine varie o a cantine.

IL FELETTO

Territorio… si aprono i paesaggi, si addolciscono gli orizzonti, l’aria si profuma e la mente si rilassa. Si abbandona la città di Conegliano (Treviso) per ascendere ad una località amena, protetta dai grandi traffici e proprio per questo ricercata. Il nome stesso di questo piccolo paese, SAN PIETRO DI FELETTO, svela le sue bellezze: infatti dal termine San Pietro emerge la sacralità (è la Pieve più antica della zona); da Feletto (la felce) l’abbondanza delle felci, che caratterizzavano il territorio incontaminato.
Oggi tutto il territorio è rigorosamente vincolato e proprio questo ha impedito la libera edificazione. Il comune è articolato in ben cinque frazioni: Rua dall’anno 1830 diventa capoluogo e sede del municipio e degli altri servizi comunali; San Pietro dà il nome alla civica comunità e mantiene orgogliosamente l’antica Pieve; Santa Maria diventa parrocchia autonoma fino dagli inizi del Cinquecento. Qui l’esplorazione del terreno può dare notizie preziosissime su caverne o gallerie sotterranee. San Michele riesce negli anni a rendersi indipendente con la sua chiesetta e infine Bagnolo fu sempre unito con Canago al Feletto e nei vecchi documenti si chiama anche Santa Pasqua. Il nome proviene da quell’antica famiglia “da Bagnolo” che là ebbe possedimenti e castelli e che fece parte della consorteria del Castrum vetus coneglianese.

La Pieve Millenaria

La Pieve di San Pietro, splendida opera di epoca longobarda, fu eretta intorno all’anno mille ma già fin dal VII e VIII secolo rappresentava il luogo di incontro dei fedeli che affluivano per le numerose funzioni religiose.
Venivano soprattutto per il battesimo. La Pieve infatti era l’unica Chiesa ad avere il privilegio di possedere il fonte battesimale e il suo territorio comprendeva le località di Formeniga, Refrontolo e Collalbrigo. L’esterno presenta un ampio porticato, che probabilmente aveva anche la funzione di garantire sicuro riparo ai popolani durante lo svolgimento di adunanze di carattere sociale, politico ed economico. Il campanile, che si alza isolato, con cuspide del XVI° secolo, è in stile romanico sul modello di quello di Aquileia. La Pieve è preceduta da una scalinata del XIX° secolo. Numerosi sono gli affreschi che decorano il porticato; tra essi il celebre “Cristo della domenica” offeso dai lavori compiuti nel giorno di festa cristiano. Esistono all’incirca una decina di altre opere simili in Europa.
Ricordiamo inoltre l’affresco “Madonna con Bambino” (o “Madonna del Latte”) importante per un particolare iconografico molto raro: quello di Gesù Bambino che succhia il latte da una vescica, con il quale l’autore probabilmente volle rifarsi alle usanze delle povere famiglie di un tempo. All’interno l’architettura è di grande fascino, ma comunque essenziale: vi sono tre strette navate divise da arcate a tutto sesto su grossi pilastri rettangolari. Sullo sfondo si apre un’abside semicircolare con pitture a strati sovrapposti. Le pareti della navata centrale sono interamente affrescate con opere di vari autori e con raffinati accenni al gusto bizantino, che spaziano dal XIII al XV secolo. Bellissima la cappella del fonte battesimale, decorata da affreschi di fine quattrocento che illustrano la vita e il martirio di San Sebastiano. Attualmente la Pieve, pur nelle sue piccole dimensioni, offre ai visitatori uno spettacolo artistico vario e inconsueto

Fonte: Pro Loco San Pietro di Feletto (http://www.prolocosanpietrodifeletto.it/index.php/9-turismo)

Condividi
Facebook
WhatsApp
Twitter
Telegram
Potrebbe interessarti

Iscriviti alla Newsletter!