A casa di Canova a Possagno, la storia e la bellezza

L’arte inarrivabile dello scultore Antonio Canova è custodita nei principali musei di tutto il mondo ma il suo cuore è qui, nella Gypsotheca di Possagno.

Fu fatta realizzare dal suo fratellastro per conservare quasi tutti i modelli originali in gesso.
«Mi non odio nisun». Con queste parole pronunciate nella sua parlata natale, nel 1798 Antonio Canova lasciò la Roma dove viveva già da una ventina d’anni e dove gli occupanti francesi avevano appena instaurato la Repubblica, chiamandolo a far parte dell’Institut National. Ma, poiché la formula d’insediamento gli richiedeva di giurare odio ai sovrani, con un’asciuttezza tutta “montanara” e la risolutezza di chi sa far parlare il marmo, preferì concedersi una lunga vacanza nella sua Possagno, dove era tornato e tornò ancora poche volte, ma con la quale non smise mai di essere in assiduo contatto. Era già un’artista affermato in tutte le corti europee e molto ricco, ma preferì tornare alla vita semplice della Valcavasia, dove la morbidezza delle colline asolane digrada da un lato verso la riva occidentale del Piave e dall’altro incontra i contrafforti meridionali del Monte Grappa.

Il genio e la vita semplice.
Qui si ritirò a dipingere nella casa di famiglia lungo la strada principale del paese: una seicentesca casa tipicamente veneta su più piani, dove ritrovò gli ambienti domestici e i lunghi porticati, il brolo, il giardino. Una casa che lui stesso fece ampliare in due riprese e che è ancora così, con ancora qualche mobile originale d’inizio Ottocento e stanze che accolgono i suoi dipinti, le incisioni, i disegni, alcuni marmi, gli strumenti da lavoro e alcuni suoi abiti. Dove si può ancora visitare la stanza dov’è nato, il seminterrato in cui è allestito lo Studio di scultura e la Torretta con lo Studio di pittura. E anche se, per chi giunge a Possagno, è prepotente il richiamo dell’imponente Tempio canoviano che con la sua limpida mole segna inconfondibilmente l’ampia conca verde della valle, per meglio orientarsi nella grandezza della vicenda umana e artistica di Canova è consigliabile partire proprio da lì, magari con una visita guidata che consente di leggere meglio le tante storie (da quelle mitologiche legate alle opere alle loro committenze, dagli studi dell’artista alle ferite inferte al suo lascito artistico dalla Grande Guerra) che s’intrecciano sia nella casa, sia nell’adiacente Gipsoteca.
Un museo fragile
Se l’arte inarrivabile di Canova è custodita nei principali musei di tutto il mondo, il suo cuore è qui, nella monumentale Gipsoteca che raccoglie quasi tutti i modelli originali in gesso del suo studio romano di via della Colonnette e che il suo fratellastro, il vescovo Giovanni Battista Sartori, fece realizzare nel giardino di casa per esporre le opere stabilendone lui stesso la posizione e ricreare l’esposizione dell’atelier dello scultore. Nel 1917, una granata colpì la Gipsoteca. Alcuni gessi furono completamente distrutti e molti altri furono gravemente lesionati, ma una grandiosa opera di restauro (dei conservatori Stefano e Siro Serafin), consentì di riaprire il museo già nel 1922. Per prevenire nuovi danni, quando scoppiò la Seconda Guerra Mondiale, la Gipsoteca fu in parte svuotata. L’allestimento odierno presenta alcune variazioni anche per il contributo di Carlo Scarpa che, nel 1957, ha creato ambienti annessi che costituiscono uno dei più mirabili esempi di museografia moderna: spazi che sfruttano l’incidenza della luce naturale e le caratteristiche dei materiali di rivestimento per esaltare i gessi distribuiti su livelli sfalsati ed accogliere anche tutti i bozzetti.E all’unicità della collezione si aggiunge la preziosità dello scenografico involucro architettonico, l’unico interamente completato dall’architetto.
Nel giardino, un pino del 1799 
In un angolo del giardino della casa di Canova si leva un possente pino italico, un ombroso albero “pignara”, che fu lo stesso artista a piantare. nel 1799.
La Fondazione – I beni alla comunità
La Fondazione Canova, istituita nel 1853, ancora oggi gestisce il lascito dello scultore a suo fratello, unico erede, e da questi alla comunità di Possagno.
Possagno
– 40 km da Treviso
– La cultura in uno splendido contesto naturale

L’esperienza della visita virtuale e la scansione delle statue
“Canova Experience” è la nuova piattaforma di comunicazione tecnologica per la visita del Museo Canova e alla Gipsoteca, che richiamano ogni anno circa cinquantamila visitatori. La digitalizzazione dell’archivio canoviano, la mappatura architettonica e la scansione tridimensionale delle statue rendono fruibile su totem touch screen e tramite QR code numerosi approfondimenti su ciascuna opera, mentre i virtual tour superano barriere architettoniche e geografiche. Uno consente di vedere la Gipsoteca danneggiata dal bombardamento del 1917. (canovaexperience.com).
Nel Tempio le opere e la tomba
Il colonnato ispirato al Partenone e il corpo centrale che ricorda il Pantheon: Canova si rifece alla cultura greca e a quella romana per il Tempio che domina Possagno, la parrocchiale che nel 1818 volle finanziare con l’aiuto della manodopera dei compaesani. Dopo la sua morte (1822) fu Sartori, divenuto vescovo, a portare a termine i lavori e a consacrarlo nel 1832. Da allora, accoglie al suo interno di grande effetto spaziale numerose opere e la tomba dell’artista. Mentre il contrasto tra il bianco del grande edificio e il verde della montagna alle sue spalle è parte integrante del paesaggio.

I gusti da non perdere

Tra le malghe del Grappa alla ricerca del Morlacco e del suo gusto più genuino


I Morlacchi arrivarono sul Massiccio del Grappa dalla Dalmazia a tempi della Serenissima: popolo di pastori e boscaioli, realizzavano con il latte rimasto dalla produzione del burro (destinato al commercio) un formaggio prodotto con latte crudo sgrassato e con la sola aggiunta di sale. Il Morlacco, formaggio che da quel popolo ha preso il nome, è stato a lungo considerato un sottoprodotto del burro ed è citato in documenti dell’Ottocento come formaggio “dei poàreti”, proprio perché per l’esile struttura e il sapore sapido che ne facevano il frequente companatico della polenta. La recente valorizzazione di questo formaggio fa sì che anche i caseifici a valle ne realizzino ottime versioni, ma cercarlo nelle malghe del Monte Grappa significa ancora oggi scoprire una straordinaria ricchezza di profumi (dovuta alla ricca e varia flora dei pascoli) che si accentua con la maturazione, e un sapore salato ma non piccante, unico e accattivante.

II Bastardo

Anche il “Bastardo” è un formaggio delle malghe del Grappa molto ricercato, che deve il suo nome alla mistura di latte animale (pecora, capra, vacca) con cui era prodotto un tempo. Oggi si fa solo con latte vaccino e ha un gusto dolce, erbaceo, che diventa sapido con la stagionatura; ogni diverso pascolo fornisce marcatori diversi.

L’olio d‘oliva

Altro prodotto locale di grande qualità è l’olio extravergine d’oliva della Pedemontana del Grappa, realizzato secondo un disciplinare che garantisce un olio verde dorato con sfumature gialle. aroma di olive fresche e sensazioni di fruttato. Conquista i pelati più esigenti con il suo gusto delicato e dolce, dovuto alla bassissima percentuale di acidità.

articoli di Marina Grasso per www.tribunatreviso.it del 12.7.2018

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