Dal XII secolo ha resistito a guerre, invasioni e carestie.
Custodisce le reliquie di Santa Bona.
Le vicine paludi furono bonificate dai monaci.
Durante il Primo Conflitto Mondiale ospitò un ospedale.
Un ponte di barche permise il passaggio
delle troppe italiane.
Lo sviluppo degli ambienti si basa su misure e proporzioni definite che si rifanno alle sacre scritture.
Il conte Alberto da Sacco è austero ma al tempo stesso generoso di informazioni, d’altro canto la storia della sua abbazia va certamente raccontata. In quel terrazzo naturale di Vidor che guarda il Piave mentre si dimena a trovar la via per il mare, molto tempo è passato in quasi mille anni di storia, tra abati, barconi e bombe di artiglieria.
LA STORIA – L’abbazia di Santa Bona fu eretta tra il 1106 ed il 1110 grazie alle donazioni della famiglia Da Vidor. Fu gestita dai monaci benedettini di Pomposa in un sito particolarmente strategico dove per secoli funzionò un passo barca per attraversare il Piave, non essendoci ancora alcun ponte. In periodi successivi l’abbazia vide un lento declino fino alla soppressione voluta dalla Serenissima nel 1773. In seguito la proprietà passò a famiglie private fino ai giorni nostri con la famiglia da Sacco. La cappella contiene le reliquie dell’egiziana Santa Bona ed un affresco di San Cristoforo, patrono dei traghettatori. Prima che i resti della santa riposassero definitivamente nella chiesa dell’abbazia, gli storici riportano che gli stessi sostarono per qualche tempo in una piccola chiesetta fuori le mura di Treviso, vicino all’attuale porta Fra’ Giocondo. La popolazione dei dintorni, che accorse a venerarla, volle conferire ad un piccolo quartiere il suo nome, appunto quello che ancora oggi si chiama Santa Bona di Treviso.
IL DILEMMA DEI DUE GIOVANNI – Da Vidor, di probabile discendenza longobarda, sono stati tra le più potenti famiglie del Trevigiano e Bellunese nei secoli XI e XII. Tra i più famosi componenti della dinastia, emerge Giovanni da Vidor, di fede ghibellina come tutta la famiglia, che è ricordato come fondatore del Santuario dei SS Vittore e Corona presso Feltre e fedele seguace dell’Imperatore Enrico IV. Alcune ricostruzioni storiche spesso confondono questo Giovanni con Giovanni Gravone da Vidor come il condottiero che partecipò a una crociata, a causa di una non corretta interpretazione dell’iscrizione sul monumento funebre feltrino fatta apporre dal figlio Arpone.
DAGLI ACQUITRINI A I PALÙ – Il territorio che si estende ad est dell’abbazia, in quello che oggi chiamiamo Quartier del Piave, anticamente era occupato da insalubri paludi, da qui l’origine del toponimo Palù. Furono proprio i monaci dell’abbazia a mettere in atto la loro proverbiale abilità nel campo delle tecniche idrauliche di bonifica, risanando questa immensa pianura agli inizi del Duecento. Le paludi divennero in questo modo fiorenti appezzamenti di prato delimitati da alberi di alto fusto, siepi e fossati ancora oggi ben visibili in molte zone interne, i cosiddetti campi chiusi. Questo sistema agronomico denominato Valbone è ancora oggi uno dei migliori esempi di tutta l’Italia settentrionale, confrontabile con gli analoghi bocages francesi.
L’ABBAZIA NELLA GRANDE GUERRA – Prima di Caporetto l’abbazia ospitava un grande ospedale militare con cinquecento posti letto. In seguito la ritirata italiana si attestò sulla riva destra del Piave e Vidor venne occupata dall’esercito Austro Ungarico, diventando teatro della prima battaglia di arresto quando fu realizzata una testa di ponte da parte italiana tra Vidor e Bigolino. «L’abbazia fu coinvolta direttamente in questa fase, in cui i volontari Alpini di Feltre, non avendo ricevuto l’ordine di ripiegamento al di là del Piave, vi si asserragliarono ingaggiando una dura lotta contro le truppe tedesche, che fecero scoppiare una serie di granate dentro le stanze», spiega Dario Bordin, esperto di storia della Grande Guerra. «Successivamente, nella battaglia finale, fu realizzato proprio di fronte all’abbazia un ponte di barche sul Piave, che permise il passaggio delle nostre truppe dirette a Vittorio Veneto».
IL MISTERIOSO NODO DELLE COLONNE – Tre dei quattro gruppi di colonne presenti agli angoli del chiostro presentano un nodo a mezza altezza che unisce tra loro quattro fusti di pietra. Queste colonne sono anche dette ofitiche (dal greco òphis, serpente). Pur non essendoci documentazione che lo provi, sono probabilmente opera dei Maestri Comacini, abilissimi artigiani chiamati ad erigere chiese e monasteri in tutta Europa fin dall’epoca longobarda. «La loro conoscenza della lavorazione della pietra veniva tramandata oralmente da una generazione all’altra. L’origine di questa corporazione, dotata di un proprio statuto e di una specifica gerarchia, si fa risalire al Collegium Romano», afferma la ricercatrice bresciana Marisa Uberti che da anni sta conducendo una vasta indagine sull’argomento. Quale potrebbe essere il loro significato? «In chiave cristiana potrebbe riferirsi alla doppia natura umana e divina di Cristo, nonché del Padre e del Figlio uniti dallo Spirito Santo. Sono comunque un simbolo di unione tra i Maestri Comacini». Oltre agli splendidi esempi di Vidor, le colonne annodate in Italia si ritrovano anche nella vicina Abbazia di Follina, a Chiaravalle milanese e Chiaravalle alla Colomba, nel piacentino. Le due croci patenti sopra i capitelli, inoltre, che fiancheggiano l’ingresso della chiesa, fanno pensare che l’abbazia sia stata anche un presidio dei Templari, cosa plausibile visto che si trova sulla via Claudia Augusta utilizzata dai pellegrini diretti a Roma o in Terrasanta. Templari e Maestri Comacini furono sicuramente in stretto contatto tra loro ed i primi portarono dall’oriente ulteriori conoscenze sia tecniche che esoteriche sfociate più tardi nel linguaggio simbolico che vide il suo trionfo nell’architettura delle cattedrali Gotiche.
FORME, UN LINGUAGGIO SIMBOLICO – Dal punto di vista architettonico l’abbazia si sviluppa secondo lo schema tipico delle abbazie benedettine e cistercensi, che si basa su misure e proporzioni ben definite, con un significato simbolico derivato dalle Sacre Scritture o legate alla Sezione Aurea, sinonimo di armonia. Regole che spesso ci sfuggono e possono apparire misteriose, come accade nel linguaggio matematico della natura a cui non sappiamo dare una risposta, eppure esiste. Insomma, nulla è lasciato al caso in natura e i Comacini ed i Templari forse questo lo sapevano bene o perlomeno lo intuivano.
articolo del 20.5.2018 di Giovanni Carraro per www.gazzettino.it